L'edificio che, in via Azario 18, ospita la Comunità S. Lucia |
Ragazzi di 13 anni, che, per poter giungere in Italia,
hanno affrontato viaggi della speranza che li hanno visti stipati a bordo di un
barcone in balia delle onde del mare, rischiando la loro giovane vita; altri,
della stessa età, sono invece giunti via terra, caricati da qualcuno su un
treno con una valigia con qualche indumento e spediti lontani dalla loro terra
d’origine.
Tutti sono minori stranieri non accompagnati, i
primi per lo più egiziani, i secondi albanesi, che, arrivati in Italia e poi a
Novara, trovano accoglienza in diverse strutture della città e dell'hinterland.
Molti di loro costituiscono i nuovi ospiti della Comunità
per minori Santa Lucia di via Azario 18, realtà novarese accanto ai giovani sin
dal 1599 e che nelle scorse settimane, proprio a ridosso del Natale, ha celebrato la sua Patrona. Un servizio che la
Comunità, diretta da Cristina Signorelli, porta avanti con un team di
educatori, operatori e volontari. Se prima i bambini e i ragazzi accolti erano
per lo più italiani e anche molto piccoli, da qualche anno gli ospiti hanno tra
i 13 e i quasi 18 anni (al compimento del 18esimo anno i ragazzi escono dalla
Casa) e sono per lo più stranieri. Una popolazione, quindi, mutata e che
richiede nuove tipologie di interventi. «Al momento – riferisce Signorelli – sono
22 i ragazzi, tutti maschi. 21 sono stranieri e uno solo è italiano. Ospitiamo
un ragazzo della Costa d’Avorio, due del Mali, due della Guinea, 5 dall’Africa
Subsahariana e, quindi, i restanti sono egiziani e albanesi. I primi hanno
fatto viaggi folli, terribili al solo pensarci, considerando che sono poco più che bambini. I loro racconti hanno lasciato attoniti tutti noi. A
viaggiare in mare per 10-12 giorni, dormendo molto poco e vivendo in condizioni
assurde. Gli albanesi arrivano in Italia per studiare, la vedono come un
‘college’, gli egiziani per trovare una soluzione ai problemi che vivono nelle
loro terre».
A sin, Signorelli, alle spalle il presidente della Comunità, l'avvocato Andrea Zanetta, a destra Emanuela Rossi, direttrice prima di Cristina Signorelli |
Ragazzi in difficoltà anche in questo caso, ma con nuove
esigenze cui far fronte. «Un tempo – aggiunge la direttrice – disponevamo di borse
lavoro, che consentivano di trovare qualche lavoretto per i più grandi, così da
far racimolare loro qualche soldino. Adesso dobbiamo fare da ‘ponte’ noi, con
la paghetta per qualche lavoro svolto in Comunità. Molti se li mettono da
parte, inviandoli anche a casa in Africa. Altri li tengono per sé per le piccole esigenze quotidiane. Una cosa bella della comunità
egiziana è che si aiutano tra loro. C’è già qualche egiziano uscito dal
“Santa”, che fa poi da tramite per un lavoro, una volta che il ragazzo compie
18 anni ed esce dalla Comunità. Questo per i più grandi, i più piccoli vanno a
scuola. Alcuni sono alla scuola media Bellini di via Vallauri, altri vanno al Cpia di via
Aquileia. Due volte a settimana frequentano la scuola di lingua di S. Egidio. Li
seguiamo anche negli iter burocratici. Tutti sono regolarizzati, tutti hanno il
permesso di soggiorno. Anzi abbiamo un’ottima sinergia con la Questura, che
ringraziamo, perché ci aiuta, facilitando gli appuntamenti. A 18 anni, per convertire
il permesso, invio al Comitato stranieri di Roma il percorso fatto dal ragazzo.
E’ innegabile che difficoltà ci siano, qualcuno è stato allontanato, ma altri
ragazzi, la maggior parte, ci danno soddisfazioni, a scuola, come anche nel
dare una mano in Comunità. Cercano di crearsi un futuro importante».
Giovani
che, una volta fuori dal Santa Lucia, non si dimenticano il bene ricevuto:
«lavoro qui dal 1994 - conclude Signorelli - e passano sempre ragazzi che ho visto crescere. Ci presentano
le loro mogli, i loro figli e ci raccontano delle loro vite».
Volontari al Banco di beneficenza di dicembre |
LA STORIA DEL SANTA LUCIA
La Comunità per minori Santa Lucia è un’istituzione
della solidarietà novarese che vanta oltre quattro secoli di vita.
La sua nascita risale al 2 aprile 1599 con
un atto davanti al notaio, in vescovado. A contribuire alla sua istituzione,
tutte le forze della società locale, la Chiesa, con l’allora vescovo, Carlo
Bascapè, la nobildonna Costanza Avogadro, appartenente a una delle famiglie più
antiche del Novarese e la Confraternita dei Disciplinati del Santo Spirito.
Una storia, quindi, che ha
attraversato le vicende di Novara in tutti questi anni, durante i quali la
Comunità non ha mai smesso di essere a fianco ai minori abbandonati. Primo nome
della casa fu “Hospitale delle vergini fanciulle del Santo Spirito”: obiettivo
ospitare 12 ragazze orfane. La prima collocazione di quella che prese il
nome definitivo di “Congregazione delle fanciulle vergini poverelle”, la casa e
la chiesa vecchia di S. Bartolomeo nel sobborgo di S. Gaudenzio, alla periferia
di Novara. Una sinergia tra Chiesa e comunità civile che caratterizza ancor
oggi l'istituto novarese, con un Consiglio d'Amministrazione composto da tre
membri nominati dal vescovo e due dal sindaco.
A gestire la casa, sino al 1938, personale laico. Subentrarono poi le religiose, con le suore di S. Giuseppe. Negli ultimi anni si è tornati a una gestione da parte di laici. Nel 2005 è stato ristrutturato il primo piano della sede. Legati all’attività della Comunità di via Azario ci sono anche “Casa Elisa”, realtà per mamme e bimbi in difficoltà, e cinque minialloggi per padri separati, che al momento sono tutti occupati e che vanno incontro a una reale esigenza emersa in questi anni.
A gestire la casa, sino al 1938, personale laico. Subentrarono poi le religiose, con le suore di S. Giuseppe. Negli ultimi anni si è tornati a una gestione da parte di laici. Nel 2005 è stato ristrutturato il primo piano della sede. Legati all’attività della Comunità di via Azario ci sono anche “Casa Elisa”, realtà per mamme e bimbi in difficoltà, e cinque minialloggi per padri separati, che al momento sono tutti occupati e che vanno incontro a una reale esigenza emersa in questi anni.
L'inaugurazione della struttura per padri separati |
Monica Curino
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