venerdì 29 dicembre 2017

Andrea Devicenzi, atleta paralimpico, agli studenti novaresi: "Non bisogna mai arrendersi dinanzi agli ostacoli della vita"

Andrea Devicenzi nel raid in Perù fatto nel 2016
E’ l’esempio di come, pur davanti alle difficoltà della vita, anche le più gravi, ci si possa sempre rialzare, anche dopo l’amputazione di una gamba a soli 17 anni.
Un esempio che lo scorso 12 dicembre ha fatto tappa a Novara, incontrando i ragazzi del Ciofs e della scuola media Immacolata. Lui è Andrea Devicenzi, cremonese di 44 anni, che – nell’agosto del 1990 – in sella alla moto a lungo sognata, resta vittima di un incidente, che gli causa l’amputazione della gamba sinistra. Un evento tragico che gli ha cambiato la vita, «ma – racconta – una gamba se n’era andata, ma non la voglia di vivere ogni giorno al massimo delle mie possibilità». Per lui, gran sportivo, inizia una nuova vita, che, negli anni, lo porta a imprese inimmaginabili anche per chi non ha menomazioni. Partecipa a gare di ciclismo per qualificarsi alle Paralimpiadi 2012, nel 2010 raggiunge, primo atleta amputato di gamba, il KardlungLa, in India, a quota 5.602 metri, un raid in autosufficienza sulla strada carrozzabile più alta del mondo in sella a una bici e poi ancora paratriathlon (nuoto, bici e corsa), con una medaglia di bronzo e una d’argento (la prima ai Campionati Europei in Israele del 2012, la seconda agli Europei in Turchia del 2013). Arriva a lasciare il suo lavoro da dipendente, diventando formatore e mental coach.
Nel 2014 inizia un’attività a favore dei ragazzi. Dà vita al primo Giro d’Italia formativo, rivolto ai giovani, «per renderli consapevoli – ci racconta – delle straordinarie capacità e talenti che hanno già dentro di loro». Nell’inverno dello stesso anno, in quest’ambito, nasce Progetto 22.
Gli studenti del Ciofs all'incontro con Devicenzi
A oggi Devicenzi ha incontrato decine di migliaia di ragazzi nelle scuole di tutta Italia. «Il nome deriva dai 22 valori che cerco di raccontare e far vivere ai ragazzi a ogni incontro negli istituti scolastici - spiega - Parlo della mia storia, aiutandoli a interpretare gli eventi della loro vita in modo positivo, ascoltando se stessi, credendo nei propri mezzi. Non devono diventare schiavi di quelli che sono i modelli di oggi. Ognuno di noi è un essere unico e irripetibile, con i propri pregi e risorse straordinarie, troppe volte date per scontate». Un progetto che si realizza con Oso (Ogni sport oltre) della Fondazione Vodafone Italia e con sponsor, «che ci aiutano, da Bmw a Parmovo. Parleremo di ragazzi che ho incontrato nel mio percorso nelle scuole. A Novara ho parlato di Luca, studente del Ciofs, che ha vissuto la mia stessa esperienza, perdendo una gamba in un incidente con lo scooter qualche anno fa, e di ragazzi che hanno sofferto di anoressia e bulimia». «Abbiamo conosciuto Andrea – spiegano al Ciofs – quando uno dei nostri ragazzi (Luca, ndr) è stato vittima di un incidente in cui ha perso la gamba. Lui si è messo subito a disposizione. Lo abbiamo contattato sui social e non ci ha pensato due volte nel volerci dare una mano, nell'intervenire a scuola con una mattinata incentrata su Progetto22».

Devicenzi parla agli studenti novaresi. Alle spalle Luca, giovane studente del Ciofs
Un esempio per tutti Devicenzi: «quando mi sono trovato amputato, ho pensato che, per ottenere successo nella mia vita, sportivo, famigliare, lavorativo, non sarebbe stato il numero delle mie gambe a determinare questo, ma quanto avevo nella mia testa. Così sono partite le mie sfide. Nel 2010 - ci racconta - l’India mi ha aperto un mondo, cambiandomi per sempre, avvicinandomi ai percorsi di crescita personali e a queste avventure. Importanti sono stati gli amici, la famiglia, mia moglie Jessica, con cui ho avuto due splendide bambine, Giulia e Noemi. Non mi hanno mai fatto sentire diverso».
I ragazzi novaresi sono rimasti colpiti dall'incontro con Andrea. Una mattinata insolita che ha saputo coinvolgere gli studenti più di qualsiasi altra materia, perché ha permesso loro di mettersi a confronto con la vita vera e con un atleta e anche un compagno di scuola che, nonostante le difficoltà, gli ostacoli della vita, ce l'hanno fatta.
Devicenzi ha incitato i ragazzi, sottolineando come mai ci si debba arrendere. «Occorre avere delle priorità - ha detto ai ragazzi che lo hanno ascoltato nella palestra della scuola - e perseguirle». Una mattinata ricca di emozioni.

Devicenzi in sella alla sua bicicletta in una gara
Per chi volesse conoscere il progetto che Andrea Devicenzi porta in giro per l'Italia e la sua storia: http://www.andreadevicenzi.it/ .
Monica Curino

giovedì 28 dicembre 2017

Comunità per minori Santa Lucia: da oltre quattro secoli accanto ai minori

L'edificio che, in via Azario 18, ospita la Comunità S. Lucia
Ragazzi di 13 anni, che, per poter giungere in Italia, hanno affrontato viaggi della speranza che li hanno visti stipati a bordo di un barcone in balia delle onde del mare, rischiando la loro giovane vita; altri, della stessa età, sono invece giunti via terra, caricati da qualcuno su un treno con una valigia con qualche indumento e spediti lontani dalla loro terra d’origine.
Tutti sono minori stranieri non accompagnati, i primi per lo più egiziani, i secondi albanesi, che, arrivati in Italia e poi a Novara, trovano accoglienza in diverse strutture della città e dell'hinterland.
Molti di loro costituiscono i nuovi ospiti della Comunità per minori Santa Lucia di via Azario 18, realtà novarese accanto ai giovani sin dal 1599 e che nelle scorse settimane, proprio a ridosso del Natale, ha celebrato la sua Patrona. Un servizio che la Comunità, diretta da Cristina Signorelli, porta avanti con un team di educatori, operatori e volontari. Se prima i bambini e i ragazzi accolti erano per lo più italiani e anche molto piccoli, da qualche anno gli ospiti hanno tra i 13 e i quasi 18 anni (al compimento del 18esimo anno i ragazzi escono dalla Casa) e sono per lo più stranieri. Una popolazione, quindi, mutata e che richiede nuove tipologie di interventi. «Al momento – riferisce Signorelli – sono 22 i ragazzi, tutti maschi. 21 sono stranieri e uno solo è italiano. Ospitiamo un ragazzo della Costa d’Avorio, due del Mali, due della Guinea, 5 dall’Africa Subsahariana e, quindi, i restanti sono egiziani e albanesi. I primi hanno fatto viaggi folli, terribili al solo pensarci, considerando che sono poco più che bambini. I loro racconti hanno lasciato attoniti tutti noi. A viaggiare in mare per 10-12 giorni, dormendo molto poco e vivendo in condizioni assurde. Gli albanesi arrivano in Italia per studiare, la vedono come un ‘college’, gli egiziani per trovare una soluzione ai problemi che vivono nelle loro terre».


A sin, Signorelli, alle spalle il presidente della Comunità, l'avvocato Andrea Zanetta, a destra Emanuela Rossi, direttrice prima di Cristina Signorelli

Ragazzi in difficoltà anche in questo caso, ma con nuove esigenze cui far fronte. «Un tempo – aggiunge la direttrice – disponevamo di borse lavoro, che consentivano di trovare qualche lavoretto per i più grandi, così da far racimolare loro qualche soldino. Adesso dobbiamo fare da ‘ponte’ noi, con la paghetta per qualche lavoro svolto in Comunità. Molti se li mettono da parte, inviandoli anche a casa in Africa. Altri li tengono per sé per le piccole esigenze quotidiane. Una cosa bella della comunità egiziana è che si aiutano tra loro. C’è già qualche egiziano uscito dal “Santa”, che fa poi da tramite per un lavoro, una volta che il ragazzo compie 18 anni ed esce dalla Comunità. Questo per i più grandi, i più piccoli vanno a scuola. Alcuni sono alla scuola media Bellini di via Vallauri, altri vanno al Cpia di via Aquileia. Due volte a settimana frequentano la scuola di lingua di S. Egidio. Li seguiamo anche negli iter burocratici. Tutti sono regolarizzati, tutti hanno il permesso di soggiorno. Anzi abbiamo un’ottima sinergia con la Questura, che ringraziamo, perché ci aiuta, facilitando gli appuntamenti. A 18 anni, per convertire il permesso, invio al Comitato stranieri di Roma il percorso fatto dal ragazzo. E’ innegabile che difficoltà ci siano, qualcuno è stato allontanato, ma altri ragazzi, la maggior parte, ci danno soddisfazioni, a scuola, come anche nel dare una mano in Comunità. Cercano di crearsi un futuro importante».
Giovani che, una volta fuori dal Santa Lucia, non si dimenticano il bene ricevuto: «lavoro qui dal 1994 - conclude Signorelli - e passano sempre ragazzi che ho visto crescere. Ci presentano le loro mogli, i loro figli e ci raccontano delle loro vite».

Volontari al Banco di beneficenza di dicembre

LA STORIA DEL SANTA LUCIA
La Comunità per minori Santa Lucia è un’istituzione della solidarietà novarese che vanta oltre quattro secoli di vita.
La sua nascita risale al 2 aprile 1599 con un atto davanti al notaio, in vescovado. A contribuire alla sua istituzione, tutte le forze della società locale, la Chiesa, con l’allora vescovo, Carlo Bascapè, la nobildonna Costanza Avogadro, appartenente a una delle famiglie più antiche del Novarese e la Confraternita dei Disciplinati del Santo Spirito.
Una storia, quindi, che ha attraversato le vicende di Novara in tutti questi anni, durante i quali la Comunità non ha mai smesso di essere a fianco ai minori abbandonati. Primo nome della casa fu “Hospitale delle vergini fanciulle del Santo Spirito”: obiettivo ospitare 12 ragazze orfane. La prima collocazione di quella che prese il nome definitivo di “Congregazione delle fanciulle vergini poverelle”, la casa e la chiesa vecchia di S. Bartolomeo nel sobborgo di S. Gaudenzio, alla periferia di Novara. Una sinergia tra Chiesa e comunità civile che caratterizza ancor oggi l'istituto novarese, con un Consiglio d'Amministrazione composto da tre membri nominati dal vescovo e due dal sindaco.
A gestire la casa, sino al 1938, personale laico. Subentrarono poi le religiose, con le suore di S. Giuseppe. Negli ultimi anni si è tornati a una gestione da parte di laici. Nel 2005 è stato ristrutturato il primo piano della sede. Legati all’attività della Comunità di via Azario ci sono anche “Casa Elisa”, realtà per mamme e bimbi in difficoltà, e cinque minialloggi per padri separati, che al momento sono tutti occupati e che vanno incontro a una reale esigenza emersa in questi anni.

L'inaugurazione della struttura per padri separati



Monica Curino